Una bellissima gita a poche ore da Milano.
In inverno è uno spettacolo bianco, in estate è un via vai di sentieri.
Parliamo del Monte Avaro, località di montagna a 1900 metri sopra a Cusio in Val Brembana.
È un panettone dove puoi trovare la tranquillità delle passeggiate con e senza ciaspole, la voglia di sciare con un anello di fondo e le discese con il bob, il tutto con tre ristoranti tipici anche d'asporto. Il tutto con il sole che splende alto nel cielo azzurro.
Si può raggiungere in auto con parcheggi tutto intorno ai ristoranti e sulla strada che termina in questo fantastico monte.
Queste sono alcune foto che ho fatto ieri domenica 14 febbraio
per arrivare sul monte avaro il paese di Cusio ha messo un pedaggio di 2 euro ad autovettura per poter così mantenere la strada e il paesaggio in sicurezza. Subito dopo il paese c'è la macchinetta dei ticket giornaliero per accedere alla strada.
Questa e Cusio :
C'e una leggenda per spiegare il nome del monte avaro:
il monte si diceva che pparteneva a signorotto di
Cusio, un abitante ella piccola comunità posta alla sommità della Valle Averara. Una cosa è certa: quel tale era una persona assai taccagna ed era conosciuto in tutta la valle, e anche fuori, proprio per la sua non comune avarizia, al punto che la gente aveva preso a chiamarlo "
Avaro" o peggio, "Avarù" e lo per non pagare le tasse e per giunta non sganciava mai un soldo per contribuire alle necessità della parrocchia, anzi, si era ridotto a non andare nemmeno più in chiesa, cosa che suscitava le critiche severe del parroco e i commenti scandalizzati dei compaesani che cominciarono a non rivolgergli più la parola e ad evitarlo, costringendolo a vivere da solo come un eremita tra le sue ricchezze.
Il signorotto era proprietario di un alpeggio dove portava ogni anno la sua mandria, ma il pascolo era piuttosto sterile, essendo ricoperto di grossi macigni sparsi dappertutto, tanto da assomigliare quasi a una vasta pietraia con pochi ciuffi d'erba. I paesani,che conosceva lo stato non proprio florido di quel monte, ne parlava spesso, in termini non certo compassionevoli, quasi a voler sottolineare la rivincita dell'alpeggio sulla taccagneria del suo proprietario. "Chèl che s' fa 'l vé rendì" esclamavano furtivamente gli altri mandriani. Col passare degli anni, per analogia con l'indole del suo proprietario, i cusiesi presero a chiamare quell'alpeggio "il monte avaro" avaro come il suo padrone. Un'estate nella quale l'erba era più scarsa del solito e le mucche avevano grosse difficoltà a nutrirsi, il mandriano fu preso dalla disperazione e una sera, seduto fuori dalla sua baita, più avvilito che mai, mormorò fra sé: "Darei la mia anima al Diavolo se in cambio potessi ripulire la montagna da tutto questo pietrame.
Non aveva nemmeno finito di pronunciare queste parole che sentì un forte boato accompagnato da un terremoto. Vicino a lui si aprì un profondo cratere da cui uscì, avvolto in una densa nuvola nera, il Diavolo in persona, sotto le sembianze di un rosso caprone, tutto peloso, con le corna acuminate e la lunga coda attorcigliata, dalla punta a forma di freccia. "Ai tuoi ordini - gridò il diavolo all'avaro- dammi la tua anima e io ti ripulisco il monte così bene da farlo diventare il pascolo più bello di tutta la vallata. L'avaro, che fino a un attimo prima avrebbe accettato di scendere a patti col Diavolo, adesso, di fronte alla prospettiva di vedere concretizzato il suo sogno, fu preso dal panico perché sapeva che l'anima è importante.- non voglio perderla, non voglio andare a bruciare all'Inferno" disse al diavolo e lui vedendolo titubante, lo incalzò: non dare ascolto a tutto quello che ti dicono. E' tutta una scusa inventata dai preti per carpirti i tuoi soldi e impedirti di godere appieno delle gioie della vita". E stuzzicando la sua avidità, soggiunse: "E' un affare da non perdere, pensa ai soldi che ne potrai ricavare, prova ad immaginare quanti anni ti ci vorrebbero per fare questo lavoro da solo, considera invece che già da questa estate tu potrai far pascolare le tue bestie su un terreno tutto dissodato e fertile. L'AVARO si voltò ad osservare il vasto pianoro disseminato di macigni e lo immaginò per un momento tutto coperto d'erba verde e di fiori, con la sua mandria intenta a pascolare al suono dei campanacci. Questa visione fu talmente convincente che alla fine l'avaro cedette e accettò il patto col Diavolo ad una condizione: "Il lavoro dovrà essere svolto questa notte e portato a termine prima che dal campanile di
Cusio giungano i rintocchi dell'Ave Maria del mattino, altrimenti tu non avrai alcun diritto sulla mia anima". Egli era infatti convinto che sarebbe stato impossibile, non dico finire, ma anche solo arrivare a metà di un lavoro così improbo, per cui, alla fine gli sarebbe rimasta la sua anima e avrebbe avuto il monte almeno in parte ripulito. Era meglio che niente. Ma non aveva fatto i conti con l'astuzia del Diavolo infatti appena furono calate le tenebre, il
Monte Avaro si riempì di ombre che si misero al lavoro di buona lena e in assoluto silenzio. Erano decine di diavoli tutti rossi e pelosi. I macigni venivano sradicati uno dopo l'altro e fatti rotolare giù per la montagna. Il lavoro procedeva speditamente e l'avaro cominciò a temere che sarebbe stato portato a termine entro il tempo concordato. Era quasi l'alba e mancava solo un enorme macigno, il più grosso di tutti, piantato in mezzo al pianoro. I diavoli gli si fecero intorno e unirono gli sforzi per toglierlo di mezzo. il grqnde sasso cominciò a muoversi, prima impercettibilmente e presto avrebbe fatto la stessa fine di tutti gli altri.
L'avaro si sentì perduto e si vide già all'inferno e si pentì di avere stretto quel patto scellerato col Diavolo, ma forse era troppo tardi. Mentre il macigno, ormai del tutto divelto, veniva faticosamente trasportato verso i margini del pianoro per essere precipitato giù nella valle, il mandriano fece un ultimo tentativo per salvarsi, si segnò, si raccomandò l'anima al Signore e recitò un'Ave Maria. Poi, colto da un'improvvisa ispirazione, prese a correre alla disperata giù per la montagna, nell'estremo tentativo di arrivare a Cusio e suonare la campane prima che l'opera dei diavoli fosse terminata. Una corsa affannosa per sentieri impervi e fitti boschi, e finalmente il paese, l'abitazione del sagrestano, un'altra breve corsa verso la chiesa, il campanile, le campane. Appena in tempo: ecco levarsi dal campanile di Cusio il primo rintocco dell'Ave Maria. Ancora pochi secondi e il lavoro sarebbe stato compiuto, invece il macigno era ancora lì, ai margini del pianoro. Il Diavolo dovette ammettere la propria sconfitta e se ne tornò infuriato all'Inferno, lasciando le impronte delle sue zampe caprine su quell'ultima pietra. Da quel momento il monte divenne un bel pascolo ricco d'erba e di fiori, con due laghetti di acqua limpida adatti ad abbeverare le mandrie.
Non si sa invece che fine abbia fatto l'avaro, qualcuno afferma che, pentitosi della sua vita gretta e senza senso, diventò un benefattore della sua comunità, ma è probabile che, divenuto ancora più tirchio ed egoista, abbia finito i suoi giorni solo ed abbandonato, senza poter gustare appieno la bellezza della fertile montagna. Forse il suo spirito si aggira ancora oggi, insoddisfatto, cercando inutilmente di disturbare con la sua presenza l'allegria degli escursionisti e degli sciatori che d'estate e d'inverno godono la bellezza di quella montagna.
In estate se passeggiate sul.monte avaro troverete il sasso con l'impronta del diavolo come da leggenda.
È bellissimo anche d'estate, lo vedrete nel mio prossimo post.
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